La data del due febbraio porta con sé due ricorrenze molto significative in questo 2022, che riguardano uno dei maggiori scrittori del Novecento, e secondo alcuni il più grande apripista del romanzo moderno: James Joyce. Lo scrittore irlandese nasce infatti il 2 febbraio 1882 a Dublino e poiché aveva il vezzo di pubblicare le sue opere nel giorno del genetliaco, in questa data uscì l’Ulysses nel 1922, pubblicato dalla società editoriale Shakespeare and Company, fondata da Sylvie Beach, amica dello scrittore e leggendaria libraia americana trasferitasi a Parigi contribuendo ad animare una delle più feconde stagioni della letteratura del Novecento.
La vita di James Joyce
Studiò in collegi di gesuiti per volere del padre e poi all’università di Dublino, distinguendosi come linguista, dove si laurea nel 1902; nello stesso anno, insofferente alla chiusura del mondo culturale irlandese si recò a Parigi, ma quasi subito dovette far ritorno in Irlanda a causa delle condizioni di salute della madre che morì nel 1903. Tornato a Dublino per la morte della madre, lasciò definitivamente la città nel 1904. Questo anno è significativo nella vita di Joyce in quanto accadono una serie di eventi importanti sia a livello personale che lavorativo: incontra la sua futura moglie Nora Barnacle; pubblica in rivista il suo primo racconto The Sisters e scrive le poesie poi raccolte in Chamber Music. Verso la fine di quest’anno lascia l’Irlanda con Nora e si stabilisce a Trieste (dove conosce Italo Svevo e ne incoraggia l’opera letteraria) come insegnante alla Berlitz School.
In Italia trascorrerà buona parte degli anni della sua maturità, si inserirà nell’ambiente letterario triestino, dove soggiornò per più di dieci anni. Trieste fu il luogo in cui ebbe molte esperienze diverse e fondamentali: qui divenne padre di due bambini, incontrò la malattia, la dura povertà e una lunga serie di problemi personali e letterari, ma conobbe anche un crescente numero di successi. Imparò l’italiano anche come lingua letteraria. Ma fu a Parigi che ebbe una lunga tregua di circa vent’anni la sua vita da esule volontario, prima di concludere la sua vita nel 1941 a Zurigo, a seguito di un intervento chirurgico. Si trasferì nella capitale francese su consiglio E. Pound e qui conobbe e ricevette ammirazione da Hemingway, Eliot, Scott Fitzgerald, e dal più importante critico letterario parigino Valery Larbaud. Proprio questo incontro e l’interesse di Larbaud per l’Ulisse, saranno decisivi per la sua affermazione come stimato scrittore a Parigi e in Europa.
L’ultima opera che terrà impegnato Joyce per oltre sedici anni sarà The Finnegans Wake, pubblicata nel 1939 che, ancor più dell’Ulisse di cui è ideale continuazione, susciterà polemiche ed entusiasmi. Joyce rimane una personalità della storia letteraria mondiale di assoluto rilievo, che ha consegnato al secolo scorso alcune tra le più originali e studiate opere narrative, nelle quali resta Dublino il luogo centrale, descritta fin nei minimi particolari, nonostante una vita trascorsa quasi totalmente lontano dalla sua città.
L’Ulisse e il romanzo modernista
Se usiamo una metafora possiamo dire che il romanzo moderno dopo i tentativi dei due secoli precedenti riemerge prepotente nel 1922 al largo della spiaggia di Sandymount, a Dublino, come «moderna Odissea» o «epica del corpo umano» – nel caso specifico del corpo di Leopold Bloom – grazie alla sostituzione del modello mitico a quello narrativo, così come lo stesso autore dell’Ulisse, nelle sue conversazioni con Frank Budgen già nel 1918, andava spiegando ai suoi primi, smarriti lettori. Soprattutto quest’ultima definizione caratterizza l’opera, in quanto summa di tutta l’esperienza fisica dell’uomo e negazione di quella metafisica.
L’Ulisse è il punto d’arrivo dell’attività artistica di Joyce e dell’evoluzione della forma romanzesca occidentale. Insieme con la Recherche proustiana e la Waste Land di Eliot segnava la consumazione definitiva dell’esperienza simbolista e decadentista, che avevano messo in crisi il romanzo, come forma più caratterizzante dell’esperienza letteraria settecentesca e ottocentesca, con le sue istanze realistiche e naturalistiche, sia sul piano narrativo che su quello psicologico. Nel 1923 Eliot poteva scrivere che il romanzo tradizionale era finito con Flaubert e che il merito di Joyce era stato quello di modellare il suo romanzo secondo il metodo mitico e non quello narrativo. Ma Joyce continuerà a chiamare la sua opera novel e facilmente si ravvisano i legami con la tradizione precedente, soprattutto Fielding e Richardson.
L’idea del romanzo è molto lontana, già durante la stesura di The Dubliners, come novella ulteriore da aggiungere a quelle già scritte. Solo quattordici anni dopo prenderà corpo il romanzo che concentrerà in un’unica giornata l’esperienza di vita del protagonista Leopold Bloom-Ulisse attraverso le strade e i bar di Dublino, ridimensionando tempo e spazio, perché quell’esemplare di umano in fondo racchiude tutti noi, l’uomo nella sua essenza.
La vicenda della sua pubblicazione è alquanto significativa, inizialmente uscito a frammenti su varie riviste in Inghilterra e in America a partire dal 1918, vide una prima completa edizione solo grazie a Sylvia Beach che lo stampò in mille copie sotto l’egida della libreria parigina Shakespeare & Co. Le copie andarono presto esaurite e le reazioni del mondo letterario furono o di estremo entusiasmo o di grande disprezzo. In Italia a causa della censura fascista, e di altri ritardi dovuti a scrupoli morali e religiosi, la prima pubblicazione completa si ebbe solo nel 1960 per Mondadori con la traduzione di Giulio de Angelis.