Villa La Bianca, la storica dimora che Cesare Garboli scelse per sé dal 1976 e dove costruì un mondo fatto di arte e letteratura, è davvero un luogo magico. Ci troviamo in Toscana, a Vado di Camaiore, un luogo dove la natura regna sovrana tra il mare e le colline, qui scelse di vivere uno dei critici letterari e scrittori italiani più emblematici e importanti del secolo scorso, tornando nella casa della sua famiglia lontano dai clamori della Capitale. Come rileggiamo dalle parole consegnate all’opera Dossier Vado. Ricordi figurativi della casa di Cesare Garboli (Corraini, 1993) dell’artista e amica Giosetta Fioroni, che aveva visitato la dimora di Garboli restandone molto affascinata, la disposizione degli ambienti sembra ricordare il teatro e allude alla possibilità dell’accadimento epifanico. Tutti gli oggetti fanno ritornare alla mente le scene di un “interno familiare”, di un vissuto soggettivo: quello dell’uomo Cesare, prima ancora del critico letterario. Un luogo di grande suggestione che trae parte della sua bellezza dall’aura letteraria che lo avvolge.
Quando Garboli decide di abbandonare Roma, città in cui aveva a lungo vissuto e lavorato, sono i tempi bui del terrorismo e dell’uccisione di Aldo Moro. Villa La Bianca diventa così non solo la sua residenza, ma anche il cuore della sua attività, il centro di una buona fetta della vita letteraria dell’Italia di quegli anni: “Quella vecchia e strana casa dove il tempo sembrava una materia palpabile” racconterà poi “divenne la base ideale per le mie spedizioni nel passato”. Tra questi luoghi prende vita la lunga e particolare storia d’amore tra Cesare Garboli e la scrittrice Rosetta Loy, raccontata oggi nel romanzo Cesare (Einaudi, 2018), delicata memoria privata e sentimentale ma, nello stesso tempo, un ritratto dell’intellettuale toscano “Lettore dall’intelligenza inarrivabile e uomo di infuocate passioni”. In questo luogo speciale, all’ombra dei platani e a ridosso del meleto vengono scritti e recensiti saggi e romanzi. Nel salotto e nel giardino si alternano cene e incontri tra i maggiori protagonisti della cultura e della letteratura del momento: da Goffredo Parise a Natalia Ginzburg, da Arnoldo Mondadori a Mario Soldati, da Giosetta Fioroni a Mario Marcucci. Tutti passano da Villa La Bianca e si fanno ispirare dalla sua atmosfera e dalla sua bellezza.
Cesare Garboli, tra arte e letteratura
Cesare Garboli nasce a Viareggio nel 1928, si trasferì con il padre a Roma nel 1944, nel quartiere Parioli, dove frequentò gli ultimi due anni di liceo classico al «Dante Alighieri», in un altro quartiere della città, Prati. Si iscrisse alla facoltà di Lettere, dove incontrò il suo relatore e maestro Natalino Sapegno, laureandosi con una tesi su Dante, dal titolo «Problemi fondamentali per lo studio della genesi politica dell’Inferno di Dante», sulla cui scia curò poi La Divina Commedia, Le rime, i versi della Vita nuova e le canzoni del Convivio per il «Parnaso italiano», l’ampia antologia della poesia italiana diretta da Carlo Muscetta per «I Millenni» dell’editore Einaudi (Torino 1954). Tornò nuovamente a Dante durante gli ultimi mesi di vita, occupandosi della revisione del commento alla Commedia, fermandosi alla cantica dell’Inferno.
Una delle sue prime pubblicazioni fu il commento ai Canti leopardiani nel 1959, e cominciavano anche le prime pubblicazioni in rivista. Esordì nel 1950 con un articolo occasionato dalla scomparsa di Cesare Pavese, e nel 1953 iniziò l’ininterrotta collaborazione con la serie letteraria di Paragone, la rivista fondata e diretta da Roberto Longhi e da Anna Banti, di cui in seguito Garboli divenne direttore.
Il suo primo volume pubblicato con Mondadori fu una raccolta di saggi dal titolo La stanza separata. Molto più tardi, un quindicennio dopo pubblicò un secondo libro Penna papers (1984), una serie di saggi dedicati al poeta Sandro Penna che si svolgono come una sorta di diario, viaggio e lunga discussione. Ancora negli anni Settanta si dedica alle opere teatrali, in particolare a Moliere, di cui pubblica anche un’Ipotesi sul Tartuffe sulla rivista “Paragone”, ma anche ad Harold Pinter. Riguardo al suo volontario allontanamento da Roma, che avvenne proprio in questi anni, in un articolo del 7 giugno 1980 scrisse: “Passata la cinquantina, si può anche vivere di incubi. Ho infatti abbandonato le mie amicizie e le mie abitudini, e mi sono ritirato in campagna. Vivo in un borgo della Versilia; un borgo di geografia lucchese, incassato fra i monti, con un pertugio che si imbuca verso il mare. Vivo qui senza vedere più in là della soglia di casa e della scodella del gatto” (ora in Ricordi tristi e civili, pp. 25 s.).
Nel silenzio e nella quiete degli studi condotti a Vado, negli anni ‘80, si dedicò al lavoro sulle Poesie famigliari di Giovanni Pascoli e ai Diari di Antonio Delfini, per i quali preparò un’ampia introduzione che si presenta come una corposa sintesi del tipico saggismo di Garboli, dove l’ampio apparato critico è preceduto da una dettagliata cronologia della vita del poeta. Come nel caso di Delfini, anche con Pascoli, Garboli mette in luce la vita e le vicende biografiche dello scrittore per compiere anche una diagnostica dell’opera. Anche se lui stesso voleva sfuggire alla definizione di critico-scrittore, indubbiamente i suoi saggi si leggono con grande attenzione e piacere conoscitivo, per la capacità che ha di argomentare e trattare gli argomenti con forza narrativa e creativa. Perché l’opera spesso dà forma alla vita e non il contrario.
Per Einaudi pubblicò una raccolta di saggi sugli scrittori più amati, dal titolo Scritti servili. Nella premessa Al lettore scrisse: “Tutti gli argomenti trattati in questo libro: la vita e il teatro di Molière; il destino di autodistruzione ilare e buffonesco, ma anche così tragico di Delfini; il genio istrionico di Longhi, e la sua esattezza nel fondere il reale e l’immaginario; la disumanità del desiderio e la perversione saturnina di Penna; la concordanza di pensiero e di viscere nella Ginzburg; le metamorfosi di Elsa Morante; tutto questo non è stato per me né un semplice argomento di studio né un invito a esercitarmi nella lettura. Tutt’altro. Ognuna di queste relazioni racconta una storia, o un evento, di seduzione. Strano per un critico, ma io non amo leggere; non amo i libri, anche se mi considero uno scrittore-lettore. Esistono, secondo me, gli scrittori-scrittori e gli scrittori-lettori. Lo scrittore-scrittore lancia le sue parole nello spazio, e queste parole cadono in un luogo sconosciuto. Lo scrittore-lettore va a prendere quelle parole e le riporta a casa, come Vespero le capre, facendole riappartenere al mondo che conosciamo. Non è la stessa distinzione che intercorre tra autori e critici. Questa distinzione è professionale, e riguarda i sindacati». E sul titolo: «Non so per quale ragione ho dato a queste storie di seduzione il titolo, tacitamente disapprovato dagli editori, di Scritti servili. Una certa suggestione l’ha prodotta, sicuramente, il gusto di provocare […]. “Servili” vale dunque: servizi resi a una committenza, scritti promossi da una servitù pratica, da una finalità editoriale. Oltre che scrittore-lettore, mi sento anche scrittore-editore” (Scritti servili, pp. VII-IX).
Seguì Falbalas. Immagini del Novecento (Garzanti, 1990), una raccolta di scritti sulle arti e sulla letteratura: “A dare unità a queste pagine è solo il Tempo, tenuto fermo su certe immagini: il volto di un amico, la leggenda di Longhi, il rovello intellettuale di Calvino, quello viscerale della Morante, i fantasmi di Macchia, il genio di Petrolini, le idee coatte di Testori, l’oscurità e la chiarezza di Fortini, la vita di Parise, la poesia di Montale, Bertolucci, Sereni, Raboni, ecc. ecc.” (Falbalas, pp. 7 s.). Sono vere e proprie “Immagini del Novecento”, saggi in cui Garboli conversa con i suoi lettori attraverso una scrittura letteraria che affascina: riroviamo quadri, libri, teatro, scrittori, artisti, cinema, incontri dove mostra il suo stile inconfondibile di critico contemporaneo e scrittore al tempo stesso. Nei primi anni Novanta, Garboli lavorò ancora sui suoi autori prediletti: Pascoli, Penna, oltre a rivolgere il suo impegno verso l’opera teatrale e le traduzioni di Molière.
Sono diversi i testi dedicati all’attività e al pensiero del critico letterario che hanno l’intenzione di far conoscere questo “Saggista cólto ma non pedante, con una vena narrativa ironica ma non dissacrante, sa essere al tempo stesso oltranzista e terragno” così come lo aveva definito Geno Pampaloni; ma per conoscere un Garboli da un punto di vista intimo e famigliare, sono da leggere il già citato Cesare di Rosetta Loy (Einaudi, 2018); e il capitolo, che assomiglia più a una memoria-ritratto che a un saggio, intitolato Il grande critico, scritto da Emanuele Trevi e contenuto nel suo libro Sogni e favole (Ponte alle Grazie, 2018).
Villa La Bianca, una dimora di charme
Oggi Villa la Bianca è un esclusivo ed elegante Relais con un curato ristorante, immerso nel verde di un parco secolare con piscina e una serie di spazi comuni che invitano alla riflessione e all’esercizio meditativo. Si respira perfettamente la storia che l’ha circondata negli anni passati, come sottolineano i proprietari sul sito web della Villa: “Entrando nelle stanze, nella grande cucina con il camino in pietra, nei salotti dai comodi divani, si ha la sensazione di salire su una macchina del tempo. Tutto è rimasto come allora: arredi originali e particolari architettonici sono stati recuperati e restaurati con cura. Oggi si può dormire nella suite gialla, quella di Garboli. O nella suite bianca, di Susanna Agnelli. O ancora, rilassarsi nel piccolo giardino, un angolo po’ nascosto, dove lei si riposava e leggeva”.
La storia di Villa La Bianca peraltro è molto antica e risale al Cinquecento, quando fu costruita per essere una tipica villa toscana di campagna con frantoio e molino. Dopo diversi passaggi di proprietà e alcune trasformazioni subite negli anni successivi, viene acquistata dalla famiglia Garboli. Dopo essere stata anche occupata dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, ritorna nelle mani dei proprietari, e da quel momento quei magnifici spazi interni ed esterni restano intatti, rinnovati soltanto per riscoprire una moderna funzionalità.