Linguaggi della letteratura: l’ascesa del romanzo e la mimesi seria della vita privata

Il romanzo assume la forma che oggi ha per noi tra il 1550 e il 1800, quando si cominciò ad accorpare sotto uno stesso nome una mole eterogenea di opere narrative. Distinguendo ancora tra l’apparato di narrazioni di tipo poetico e quelle di tipo storico, ovvero tra romance e novel, finché il romanzo non compirà il salto di qualità, introducendo modi di narrazione innovativi e rivoluzionari, sganciandosi dalle strutture letterarie d’Ancien Régime, e potrà affermare la propria natura di racconto della vita particolare. Il romance, come l’epos serio o l’epos comico, non parla di uomini comuni e vicende quotidiane, ma di personaggi e mondi molto distanti, e poco percepibili dalla società borghese. Il novel  è il genere del “nome proprio”, non si riferisce all’individuo in quanto tale ma ad una sua generalizzazione, cioè in quanto appartenente alla “specie”.

Strada di Parigi in un giorno di pioggia di Caillebotte

I primi autori di novel insistevano su una corrispondenza tra un nome proprio e l’individuo reale. Daniel Defoe, ad esempio, quando pubblica nel 1719 Le avventure di Robinson Crusoe, riesce a ingannare il suo pubblico asserendo che esisteva davvero un individuo con quel nome. Ma già a partire dalla metà del secolo i novel avevano adottato il nuovo principio teorico “di non riferirsi a nessuno in particolare”: i personaggi inventati avevano un referente generico extratestuale, per cui il romanzo costruito su dettagli immaginari poteva dirsi vero in termini generali. Ian Watt ha esposto la teoria più celebre e autorevole sulla nascita di questo sottogenere in The Rise of the Novel (1957). Nel saggio Watt fonde le due accezioni del termine, quella storica più ristretta che vede il novel una forma narrativa nata in Inghilterra e quella storica più ampia, che riconosce la rapida diffusione e compresenza del genere nelle varie letterature europee, e che la letteratura inglese del Settecento consacra.

È vero quindi che si diffonde rapidamente nelle letterature europee tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, ma il suo nucleo originario si forma attraverso le opere di scrittori inglesi come D. Defoe, H. Fielding e S. Richardson. Se allarghiamo la prospettiva e consideriamo non la storia del novel ma quella del genere romanzo in letteratura, ci accorgiamo che il novel in quanto genere dei nomi propri non nasce all’improvviso nell’Inghilterra del Settecento. Già le letterature antiche, greca e latina, avevano parlato della vita di persone comuni, servendosi di generi quali la satira, l’epigramma e la commedia. Non mancano esempi più recenti, basta pensare alla letteratura medievale con l’exemplum e la novella, poi la novella rinascimentale e il romanzo picaresco spagnolo. Nelle novelle del Decameron o nel Lazarillo si raccontano storie private di uomini comuni ma qui i particolari sono solo accennati, mentre nel Robinson occupano pagine. Il salto che compie il novel settecentesco sta proprio nella maggiore attenzione data alle descrizioni, alla grande quantità di contingenza che i testi riescono ad accogliere. Il novel per la sua stessa natura di libro della vita particolare, per l’interesse che nutre verso gli scopi privati di individui normali, per l’importanza data a eroi ordinari, cerca una legittimazione e la trova confrontandosi con i generi tradizionali della tragedia e della commedia.

La lettrice di J. Fragonard

Nella letteratura greca e latina, la tragedia e l’epos erano le forme nobili della narrazione, raccontavano di personaggi pubblici e delle loro gesta individuali che hanno un valore universale, mentre la vita privata dell’uomo comune era relegata in generi più popolari, come la commedia e l’epigramma. Ma l’epos sviluppa trame slegate dall’interesse personale dell’individuo, che si muove sempre all’interno di una realtà dominata da valori collettivi e sovraindividuali. Georg Hegel nelle sue Lezioni di estetica individua con maggiore chiarezza, grazie anche alla sua privilegiata prospettiva storica, il punto di rottura con la tradizione rappresentato dal romance serio, che per la prima volta racconta le gesta dell’individuo, dell’eroe mosso dall’amore, dallo spirito d’avventura e non più da motivi alti e sublimi. Ad Hegel è chiaro come questa attenzione all’individuo sarà preponderante in tutta la letteratura successiva. Se consideriamo alcune opere della tradizione antica, le tragedie di Euripide o l’Eneide virgiliana, possiamo percepire la presenza di un racconto della vita intima, degli stati d’animo dei personaggi, che però non sono personaggi qualsiasi che si muovono in una realtà caotica ed egoistica, ma eroi ed eroine spesso di stirpe nobile che agiscono per scopi collettivi e comunitari.

Illustrazione da un’edizione del Robinson Crusoe di D. Defoe

L’eroe romanzesco segue i propri scopi e le proprie passioni, i propri dèmoni, gli dèi esiliati non riconosciuti di cui parlava György Lukàcs. Da qui l’idea, che si è consolidata nella critica letteraria novecentesca, che individua la differenza tra epica e romanzo nell’apertura verso l’esterno e la collettività e di contro la chiusura entro i limiti del mondo privato ed individuale; i significati universali di cui l’uomo è portatore da un lato e il destino immanente delle persone dall’altro. L’eroe romanzesco si muove nel “mondo della prosa quotidiana”, la condizione tipica della società moderna.

Il romanzo è il genere della vicinanza e del presente che creano un maggior coinvolgimento emotivo nel lettore, mentre l’epica e la tragedia lasciano spazio al passato e all’antico. Il romanzo genera il piacere della lettura, non meraviglia e sorpresa. Il romanzo riesce ad imporsi sugli altri generi con la sua carica rivoluzionaria, con la sua mimesis della particolarità: storie di vita privata, individui comuni, abbondanza di descrizioni insistenti e particolareggiate che producono quello che Roland Barthes ha chiamato effet de réel. Lo sviluppo del romanzo fra Seicento e Ottocento avviene in diverse modalità e tempi nelle varie letterature europee, creando così una gerarchia che mette al centro la letterature inglese e francese, come modelli fino al XX secolo. La letteratura inglese più libera dagli schemi del classicismo e del platonismo estetico aderisce con molta più facilità alla mimesis del quotidiano, delle classi sociali medie, degli interni borghesi.

In Francia dove le teorie della Stiltrennung hanno avuto più presa e hanno ancora un certo vigore, c’è più resistenza nell’accogliere storie che narrano di prostitute, cameriere, mercanti, nel contravvenire alle regole della bienséance descrivendo strade malfamate di grandi città, interni umili, luoghi chiassosi come osterie e ancora stanze di servi. Ma è proprio la letteratura francese a creare un vocabolario dell’analisi psicologica e dell’interiorità che influenzerà la letteratura anche al di fuori dei confini fino al Novecento, e che avrà il suo massimo esito nell’opera di Marcel Proust.

Moulin de la Galette di P. Picasso

Prima del 1741 anno in cui Samuel Richardson pubblica Pamela, la cui trama si basa su accadimenti molto modesti quasi insulsi, come un padrone che vuole sedurre una serva mentre la vicenda amorosa della fanciulla si conclude con un infelice matrimonio combinato, nessuno poteva immaginare che si potesse parlare delle semplici avventure di una cameriera con lo stesso trasporto, la medesima carica tragica e la profondità espressiva con le quali si sarebbe descritta la vita di una principessa o di una eroina di nobili origini. In questo momento si comincia a parlare di novel of sensibility, cioè di romanzi che intendono rappresentare la realtà così come è, mirando all’identificazione del lettore con i personaggi, con le loro emozioni, con i loro drammi privati quotidiani.  

Illustrazione tratta da un'edizione del romanzo Pamela di Richardson.
Illustrazione tratta da un’edizione del romanzo Pamela di Richardson

Il romance, che aveva affascinato per oltre quattromila anni i lettori con le storie di Ulisse, Enea, Sinbad, Roland, Beowulf, parodiato da Ludovico Ariosto e da Miguel de Cervantes, dovette cedere il passo al novel e poi al romanzo ottocentesco di Stendhal, Balzac, Flaubert, Dickens, Dostoevskij, Tolstoj e James, resistendo solo per merito dei “poemi eroicomici in prosa” di Fielding e delle geniali eccentricità demistificatorie di Laurence Sterne, prima di riemergere nel 1922 al largo della spiaggia di Sandymount, a Dublino, come «moderna Odissea» o «epica del corpo umano» – nel caso specifico del corpo di Leopold Bloom – grazie alla sostituzione del modello mitico a quello narrativo, così come lo stesso autore dell’Ulisse, nelle sue conversazioni con Frank Budgen, già nel 1918, andava spiegando ai suoi primi e smarriti lettori.

A dimostrazione di quanto fosse solida la base culturale e la tradizione letteraria del romance già Fielding, prima di James Joyce, aveva modellato il suo romanzo sull’esempio omerico col suo Joseph Andrews, e aveva parlato di “poema eroicomico in prosa”, ovvero una rappresentazione minuziosamente realistica della vita contemporanea ma resa sul modello dell’epica classica. Tra l’epoca di Fielding e Richardson e quella di Walter Scott, Honoré de Balzac, Stendhal c’è una differenza ideologica, in quanto i primi si servono ancora di grandi categorie astoriche e statiche per caratterizzare gli individui e la società, mentre i secondi parlano di classi sociali, lotte di classe, rapporti di forza. Erich Auerbach chiama “storico-dinamico” questo periodo della letteratura (il terzo dopo quello classico e cristiano-medievale), che emerge proprio con il romanzo realista ottocentesco.

Un ritratto di H. de Balzac

Il testo che simbolicamente sancisce l’apertura al romanzo e la sua consacrazione in Francia è l’Avant- propos (1842) della Comédie humaine di Balzac, che presenta il romanzo come una forma alta quasi scientifica di conoscenza al pari della filosofia, della zoologia, della storia. Il romanziere sarà zoologo della specie umana, studioso delle classi sociali, storico dei costumi e dei sentimenti. Balzac intendeva costruire un’enciclopedia del genere umano, includendo all’interno di essa una miriade di situazioni, luoghi, personaggi, come una carrellata senza sosta che quasi tendeva all’infinita rappresentazione. Così scrive in una pagina dell’Avant-propos della Comédie humaine, che spiega bene i cambiamenti e le mutazioni della stessa invenzione letteraria:

La Società non fa forse dell’uomo, a seconda dell’ambiente in cui si sviluppa ciascuna attività, tanti diversi uomini, quante sono le varietà zoologiche? Le differenze tra un soldato, un operaio, un amministratore, un avvocato, un fannullone, un sapiente, uno statista, un commerciante, un marinaio, un poeta, un povero, un prete, sono, sebbene più difficili da cogliere, così considerevoli come quelle che distinguono il lupo, il leone, l’asino, il corvo, il pescecane, il vitello marino, la pecora, etc.

Balzac
Frontespizio dell’edizione Furne della Comedie Humaine di H. de Balzac

Nel corso del XIX secolo il romanzo si riappropria di una varietà nella rappresentazione della vita, parla di tutti noi, delle persone private, e in questo si annida il suo valore universale. Balzac, quindi, con il suo progetto della Comèdie humaine porta a compimento un processo che era cominciato con il Bildungsroman tedesco e con il roman personell di Johann Wolfgang von Goethe, Jean-Jacques Rosseau, e Ugo Foscolo che raccoglieva le confessioni intime dell’autore e le sue storie sentimentali introducendo nella narrativa la componente autobiografica, e prosegue poi con Jane Austen e il romanzo storico di Scott e Stendhal. Il progetto della Comédie humaine, che si propone come un ciclo romanzesco che mima la vita sociale nella sua totalità, o almeno aspira a questo, rende più esplicita la rivoluzione letteraria cominciata nel Seicento e proseguita nel Settecento, quando i personaggi comuni smettono di essere soggetti comici della commedia o di generi minori e vengono trattati con una serietà e uno spessore psicologico estranei alla letteratura precedente.

Il 1800 rappresenta però una soglia letteraria che cade fra la seconda metà del Settecento e il 1850, orientativamente tra il Robinson Crusoe e l’anno della morte di Balzac: significa che si è passati dall’apertura a tutti i contenuti narrabili alla conquista di temi e contenuti mai trattati prima dal romanzo e quindi alla possibilità di raccontare qualsiasi cosa in qualsiasi modo. La middle station of life conquista definitivamente terreno, non è più solo sfondo sociale sul quale si stagliano le vite avventurose di personaggi speciali, ma lo stesso sostrato sociale a cui attingere per raccontare di personaggi banali racchiusi nelle loro banali esistenze. È il caso dei personaggi di Gustave Flaubert, poi Lev Tolstoj e George Eliot, che confronteranno le varie esistenze umane per raccontare della relatività dell’esperienza umana.

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