Recensione a cura di Martina Masi (corso Editoria e Comunicazione Digitale 21\22)
LEGGERE LOLITA A TEHERAN, Azar Nafisi
(traduzione di Roberto Serrai, Adelphi, pagine 375, prima pubblicazione 2003)
Leggere Azar Nafisi per noi è un atto di consapevolezza, proprio come leggere Nabokov nell’Iran del 1995 era un atto di resistenza – e forse lo è anche oggi. In una Teheran in cui le università disconoscono le donne, in cui le librerie dove si vendono Fitzgerald e Jane Austen vengono sequestrate, in cui la polizia religiosa uccide per una ciocca di capelli sfuggiata al chador, la professoressa di letteratura inglese Azar Nafisi riunisce segretamente nel suo salotto le sue migliori studentesse, per discutere proprio di quelle opere che il regime islamico di Khomeini ha messo al bando. Ecco allora che il capolavoro di Nabokov si rivela “una denuncia dell’essenza stessa di ogni totalitarismo” e che Henry James diventa l’unico rifugio nelle notti di bombardamenti, in cui “fra le pagine resta la sirena d’allarme”.
Alla storia dell’autrice si intrecciano indissolubilmente quelle delle sue sette giovani studentesse, che appartengono ad una generazione molto diversa da quella di Nafisi: sono nate con la rivoluzione alle porte e per questo “i loro ricordi sono fatti di desideri irrealizzati, di cose che non hanno mai avuto”. Sono diventate adolescenti in un Iran in cui è impossibile esserlo davvero, perché impossibili sono tutte quelle esperienze adolescenziali che noi diamo per scontate. Sono riuscite ad iscriversi all’università, per poi scoprire che i loro capelli scoperti sono sufficienti a farle espellere e che i corsi di letterature occidentali, che avrebbero tanto voluto seguire, sono stati sospesi, esattamente come sospesi sono anche i corsi tenuti da professoresse che, come Azar Nafisi, si rifiutano di piegarsi alle imposizioni del regime. La scelta di continuare a studiare segretamente unisce le vite di sette ragazze molto diverse fra loro, alcune profondamente credenti, altre assolutamente atee, alcune provenienti da famiglie favorevoli alla rivoluzione islamica, altre da famiglie che l’hanno osteggiata. Le discussioni durante i pomeriggi di studio sono spesso animate e Nafisi, proprio grazie ai dialoghi fra le sue ragazze, ci fa entrare a pieno nella complessità e nella contraddittorietà dell’Iran di Komehini in cui l’unica certezza per le donne è la volontà del regime di controllarle attraverso l’omologazione.
Azar Nafisi continua a tenere le sue lezioni all’università fino a quando le è possibile, cioè fino al 1995, opponendosi con forza alla visione riduttiva dei Guardiani della Rivoluzione, i quali pretendono che la letteratura sia studiata e insegnata in un’ottica moralizzante oppure – dove questo non sia possibile – censurata.
La resistenza dell’autrice sta proprio nel continuare a far riflettere i suoi studenti. È il caso ad esempio di Daisy Miller, il romanzo breve di Henry James, che apre il dibattito sulla morigeratezza di un personaggio femminile, in tutto e per tutto contrario alle norme della Repubblica Islamica, ma con cui in molti in aula sentono di poter empatizzare: “Daisy li confondeva, non sapevano più cosa fosse giusto e cosa sbagliato.”
Leggere Lolita a Teheran è un libro potente, capace di trasportarci nell’atmosfera surreale in cui è nato, volando sulle ali di alcune delle migliori pagine della letteratura occidentale.