Scrittore ed editore siciliano, nato a Siracusa nel 1908 da una modesta famiglia, è autore di importanti romanzi che documentano le evoluzioni della letteratura italiana a cavallo tra la seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra, con la nascita del neorealismo; nonché traduttore e “importatore”, insieme con l’amico Cesare Pavese, della letteratura americana in Italia. In quest’ultimo compito (non erano i soli Vittorini e Pavese a riconoscere grande merito alla letteratura americana), soprattutto attraverso il loro lavoro di traduzione, a partire dagli anni ’30, alcuni dei migliori autori come Hemingway, Saroyan, Melville sono stati resi noti al pubblico di lettori italiani. Scrivendo nel 1946 sul Politecnico parlerà in questi termini della letteratura americana:
“La letteratura americana è l’unica che coincida dalla sua nascita con l’età moderna, che possa chiamarsi completamente moderna.”
Elio Vittorini, nella sua formazione è un autodidatta, non completò infatti il percorso di studi tecnici delle superiori, in quanto catturato da ulteriori e più urgenti necessità artistiche e creative. Da scrittore affermato scriverà alcune pagine autobiografiche, indirizzate ai suoi lettori stranieri, in cui leggiamo:
“Mio padre era ferroviere e noi si abitava nella casa di Siracusa con la famiglia di mia madre, solo quando lui prendeva le ferie. Del resto si stava in piccole stazioni ferroviarie, con reti metalliche alle finestre e il deserto intorno… In una di queste stazioni io ho letto, sotto un ciuffo di canne, il primo libro che mi fece grande impressione: era una riduzione per bambini del Robinson Crusoe”.
La sua giovinezza trascorre nell’irrequietezza, fugge due volte di casa utilizzando i biglietti del padre ferroviere, e sul piano intellettuale comincia a stringere amicizie in diverse città, tenta di fondare una rivista, stabilisce rapporti con Enrico Falqui e altri intellettuali. Tra il 1929-30 si trasferirà a Firenze, capitale letteraria d’Italia, in cui stabilisce quei contatti che saranno fondamentali per la sua attività: Eugenio Montale, Carlo Emilio Gadda, Vasco Pratolini. Scrittori con i quali ha creato quella letteratura del Novecento staccandosi da ciò che fino ad allora si era fatto. Da giovane fu a lungo esponente di quello che viene chiamato “fascismo di sinistra”, scrivendo anche sulla rivista fascista Il Bargello. Maturò poi, anche a seguito della Guerra di Spagna, una diversa coscienza delle cose, poiché allora si rivelò la vera natura dei regimi dittatoriali europei.
Abbandonata l’adesione al regime di Mussolini, anche attraverso un atto simbolico (la pubblicazione di un suo articolo sull’Italia letteraria nel 1929, intitolato “Scarico di coscienza”), si dedicherà alla scrittura e al lavoro nel mondo editoriale, anche come traduttore di D.H. Lawrence, E. Poe, D. Defoe. Proprio a questi autori, Vittorini dedicherà un’antologia edita da Bompiani, intitolata Americana. In quest’opera vennero raccolti 33 autori dalle origini fino alla contemporaneità, passando dai classici fino alla cosiddetta “Nuova Leggenda” con Saroyan e Fante. Le traduzioni sono tutte d’autore, da Moravia a Pavese, da Linati a Piovene, e ovviamente dello stesso Vittorini. Decise inoltre di accompagnare le nove sezioni, in cui furono divisi i racconti, da altrettante sue introduzioni che forniscono un orizzonte interpretativo e nel loro insieme costituiscono una piccola storia della letteratura americana.
Sin dai suoi esordi, Vittorini si muove seguendo una direzione indefinita affidandosi di volta in volta a maestri diversi: dalle prove “strapaesane” con C. Malaparte, alle dichiarazioni europeiste in “Scarico di coscienza”; dalla prosa d’arte del Viaggio in Sardegna e gli influssi di Lawrence, alle tendenze lirico-realistiche del Garofano rosso; e, infine, al realismo di matrice verghiana del romanzo Erica e i suoi fratelli.
Una delle caratteristiche fondamentali della narrazione di Vittorini è la componente lirico-simbolica, che troverà una delle sue massime espressioni in Conversazione in Sicilia, romanzo del 1941, che ebbe molto successo in quanto poneva interrogativi sulla situazione politica concreta e sul piano morale; metteva in luce, pur nel suo linguaggio criptico e immaginoso, dei problemi che erano dell’Italia di allora e, universalmente, della vita di un uomo. Dal punto di vista stilistico troviamo una forte presenza del dialogo, secondo uno stile tipicamente americano, con un mimetismo del linguaggio parlato che rifiuta le strutture della prosa tradizionale, a favore della ricerca del ritmo e della musicalità del discorso.
Dopo Uomini e no, romanzo ispirato alla Resistenza italiana, nel quale l’immediatezza del contenuto lo portò alla scelta di nuove soluzioni espressive anche sul piano formale, Vittorini si dedicò sia alla narrativa con opere come il racconto Il Sempione strizza l’occhio al Frejus (1947), al romanzo più volte revisionato Le donne di Messina, al romanzo Erica e i suoi fratelli (1956), e alla pubblicazione di raccolte dei suoi scritti critici, letterari e di costume in Diario in pubblico (1957). Postumi sono stati pubblicati inoltre: Le due tensioni. Appunti per una ideologia della letteratura (1967); Nome e lagrime e altri racconti (1972); la raccolta delle Opere narrative (1974) e dell’epistolario degli anni 1933-1943 (a cura dello stesso, 1985); infine è apparso postumo, a cura di S. Pautasso, il romanzo giovanile Il brigantino del papa (1985).
Quello che oggi resta di questo grande scrittore è da un lato l’impronta personale data all’industria (all’epoca artigianato per lo più) editoriale, dall’altro il profondo pensiero di un intellettuale militante pronto a confrontarsi con le ambiguità della propria epoca, e a rifletterle di volta in volta nella sua opera letteraria, che ancora a distanza di anni suscita un singolare impatto emotivo nel lettore.