Le vostre Poesie

Fenysia | BLOG

i n v i a t e c i
i vostri racconti e le vostre poesie

 

Quanti di voi, adesso, sono davanti al computer e stanno scrivendo un racconto? Quanti, guardando fuori dalla loro finestra, stanno pensando ad una poesia? Chi ha già raccolto insieme pagine e pagine di appunti per un libro / per un articolo di giornale / per un’intervista immaginaria al suo autore preferito?
 
 
Pubblicheremo le storie e le poesie che ci invierete – quelle scritte durante un corso di Fenysia, quelle pensate bevendo un caffè sui nostri divanetti o più semplicemente nate e desiderose di essere lette. 
 
 
 
 Scriveteci e inviateci i vostri testi a: info@scuolafenysia.it
 
 

 

 

L’altarino di maggio

Le rose il profumo
salito su per il naso
come quello dei biscotti
la mattina
le forbici delle unghie
tagliavo le rose sulla pianta
dietro al pollaio
la mattina
i bicchieri rubati in cucina
sopra la sedia
la scatola da scarpe
ricoperta
una tovaglietta ricamata del corredo di mia madre.
La madonna di Pompei
il santino del catechismo
i bicchieri
le rose dal gambo mozzato
il rosario a guarnizione.
La madonna in alto sopra la scatola
le rose in basso
mi inginocchiavo e pregavo.
Dal giorno uno di maggio
al trentuno finito
la mattina
cambiavo l’acqua alle rose
annusavo le rose polpose.
Al mese della madonna e delle rose
inginocchiata chiedevo
che la mia cattiveria si tramutasse in bontà.

– Daniela Tani
 
 
 
 
 
I tuoi soldati e la mia bocca
Spiegaglielo tu ai due soldati
coi loro cappelli e le armature
che m’interrogano senza dire una parola
e mi tengono a bada con lo sguardo
che non hanno imboscate da temere.
Il tuo cuore è al riparo dall’assalto della mia bocca
oggi,
ma la carne no, ne ho voglia adesso.
E’ fatica presidiare tutta quella terra
sai;
sono in due soltanto
e se pure aggiungessimo le mani e le gambe
sarebbero solo in dieci,
troppo pochi per riparare alla fame della mia bocca
che se li gusta i tuoi soldati
e più ne metti a guardia di te stessa
e più si arma di desiderio proprio di loro.
Non c’è nulla di te che io non ami
e non desideri consumare
per riaverlo moltiplicato.
E la mia bocca non è stata mai tanta
e così bellicosa.
                                                                                                                                                                                                          – Giuseppe Belcore
 
 
 
 
 
INVETTIVA
E quindi voi sapreste ogni motivo?
Il quando e il come…ogni perché.
Per poi scivolare nel dirupo
comunque
cadere nel motoso canale di scolo.
Eppure la sappiamo
e negli occhi ancora abbiamo
la bellezza della giovane trota
nel rivolo freddo.

– Giovanni Gerini

 

 

 Bisogna avere pazienza con le mamme

Bisogna avere pazienza con le mamme. 
Invecchiano senza avvisarti 
e questo proprio non te lo aspetti 
da chi ti lascia bambino per sempre. 
Il suo cuore gigante si stanca con il tempo 
indispettito per averlo sfidato a restar fermo 
a guardarvi giocare, 
ma conserva sempre una stanza per te, 
aspettando ritorni dal tuo giro per il mondo. 
E ti accorgi che era lì la tua casa 
solo quando portano via i mattoni a uno a uno, 
mentre lei saluta dalla finestrella 
distribuendo baci 
con la mano tremante per l’emozione 
e scende le scale fermandosi a ogni gradino, 
per riprendere fiato e acquietare, 
con un cenno papale della mano sana, 
gli angeli soccorritori, 
che invece hanno premura di accompagnarla 
prima che le sue ossa patiscano l’umidità della terra.
Solo gli occhi la legano ancora a questo mondo 
e sei tu l’ancora di quella vecchia barchetta 
che stenta a partire 
mica per paura del mare. 
Allora la senti la fune 
che ti scivola dalle mani rosse per l’attrito. 
Mentre si allontana, le stringi di più per frenare la corsa 
per sempre, 
ma lei ti apre dolcemente le dita a una a una, 
come faceva quando doveva seminarti un bacio 
proprio lì nel mezzo e tu, ricordi? 

le richiudevi subito a pugno. 
Ti chiede di lasciarla andare sorridendoti 

da lontano ormai. 
La barchetta non c’è più, 
solo una scia rimane ancora per poco 
a disegnare un sorriso sull’acqua.
Ma ci sei tu sul molo a salutarla e lei è felice: 
suo figlio è tornato 
e la stanza è ancora lì nel suo cuore 
senza malta né mattoni.

(silenzio)
Tranquillo, quello che senti 
è il rumore delle vele strattonate dal vento 
e stirate fino all’anima di filo, 
non è certo il tuo cuore 
che palpita e picchia da martello sul tamburo del tuo petto, 
nell’attesa di rivederla un giorno.

                                                                                                                                                      – Giuseppe Belcore

 

 

 

 

 

Neppure una carezza

Se ne sono andati di notte,

in fila indiana,

su camion militari senza finestrini,

senza essere visti e senza salutare.

Che pena per l’esercito

costretto a scortare i caduti

senza aver combattuto.

 

Solo il silenzio piange quei morti.

 

Tante storie indistinte da nessuno raccontate.

Si sommano come numeri

 senza la pena di uno sguardo al contenuto…

 

Come possono respirare, vedere

dentro quei camion senza aria e senza luce?

Come possono sentire il pianto strozzato dei loro figli

da sotto quei tendoni verde militare,

dove sono stati ricomposti alla meglio e sigillati

da mani impaurite e pietose solo per dovere?

I figli, i fratelli piangono a distanza

dentro le loro autovetture,

uno solo a bordo

se l’altro è in quarantena.

Volevano chiedere un ultimo perdono

a quelle vecchie bocche,

tremanti per la gioia di saperli ancora figli

non certo per l’assoluzione

che arrivava sempre, già prima del peccato.

 

Non volevano andare via

in un silenzio così estraneo

Luigi,

Alberto

e nemmeno Antonio,

Luca,

Sara,

Paolo,

Filippo

e Simona.

Avrebbero voluto almeno un’ultima carezza,

uno sguardo,

il loro biglietto di ritorno.

Invece sono annegati a riva,

dopo la fatica straziante e inutile dell’ultima bracciata.

Nelle loro ampolle di plastica trasparente

di finti astronauti 

non ci sono pesciolini rossi

ma lacrime

a riempire il vuoto di un abbraccio.

Qualcuno allunga esausto una mano

oltre la linea d’acqua,

annaspando ormai senza speranze.

Grida aiuto… ma pare salutare.

 

Sono soli anche se sono in tanti.

Poveri morti e poveri anche i vivi.

 

Il loro sguardo sul mondo

non va oltre la nebbia liquida delle loro lacrime

ingoiate a malapena per l’affanno

nel silenzio metallico e ossessivo dei respiratori.

 

Il groppo alla gola è di chi è costretto

ad assistere senza essere figlio

quindi inerme,

fingendo che non sia la fine della partita

quel fischio insistente nella stanza

 

Neppure una carezza da dentro lo scafandro

è immune dal contagio del dolore,

un virus che aggredisce solo certi cuori.

A fine turno la corazza è gettata lì per terra.

Non ha i segni della lotta

eppure la soldatessa ha una smorfia triste,

come un fiore deperito

sbocciato sul bordo della bocca semiaperta.

Si tiene il petto con la mano senza guanto,

come fosse trafitto da una spada

che ha cercato il punto esatto

dove il cuore batte proprio per chi ne ha bisogno.

 22 marzo 2020

– Giuseppe Belcore

 

 

 

Un’ emozione

L’emozione è una parte di te

che ogni tanto sale nel cuore,

è un pezzo di anima senza nome

fatta di sangue, lacrime e sudore.

L’emozione è un brivido improvviso

che rimane per sempre in mente,

è un punto, uno sguardo, un sorriso

che scivola via e non lascia niente.

L’emozione è un ricordo lontano

che riaffiora nel tuo presente:

può esser nebbia, un campo di grano

giallo-azzurro al sole splendente,

un airone che imponente svetta in aria

come le tue emozioni perdute

nel triste momento di un rimpianto

di occasioni perse e mai vissute.

 

L’emozione è un fragile segreto

che tieni nascosto senza un perché,

un giorno, un minuto, quasi inconsueto

lampo nel buio di mille “se”.

L’emozione è ricerca di un mistero

così indicibile da riuscire a svelare,

è un libro non scritto, profumo di vero,

è una pagina strappata da raccontare.

Se la cerchi ne troverai a milioni

dentro ogni esistere che si fa vita,

e come le stelle vive in costellazioni

che resistono il corso di lente stagioni

e rimangono appese ad un filo sottile

che solo un amore potrebbe spezzare,

emozioni discrete e malinconie

della ragazza che ti ha fatto innamorare.

 

L’emozione è una strana canzone

che non riesci più a dimenticare,

è un motivo che gira in testa per ore

e non vorresti mai più cancellare;

è il ripetersi di uguali, effimeri istanti,

irripetibili momenti di un’emozione,

sono persone, amici, locali, amanti,

oscuri tramonti e tempeste di sole.

 

L’emozione è il grido di un bambino

che non riesce a calciare un pallone,

è un poeta che gioca a nascondino

e non ricorda dove ha messo le parole.

L’emozione è una poesia scritta male

che forse non piacerà a nessuno,

è una corsa veloce, troppo normale

descrizione abituale di sogni di fumo.

– Simone Fagioli

 

 

 

 

Fuori dalla porta la pandemia

Sirene di ambulanze a scandire il silenzio

E le nostre ore senza fine

 

Dentro io e te

Riparati dal cemento della città.

 

Tra le lenzuola tiepide

Nasce un nuovo giorno languido

Ed è l’odore acre della tua pelle

Dormire il pomeriggio

Le pagine che sfogli sdraiato sul divano

Il tempo sospeso fino al tramonto

Il sibilo dei fornelli e il vino rosso.

 

Un torpore contagioso

E fuori la malattia

La cancrena ai polmoni

La fame d’aria

La tosse infetta

E la fretta

La metropolitana

Le ferie

I programmi del fine settimana.

 

E di giorno guardiamo la tv

E di notte guardiamo fuori dalla finestra

 

E prima o poi finalmente ritorneremo

A rimandare

A sbagliare

A buttare il tempo via.

-Francesca del Boca

 

 

PRIMAVERA

Nevica silenziosa la primavera

anche qua ai confini della città

– morta, malata d’un nuovo colera –

e ci dimostra che la vita va avanti

con tremenda e incessante alacrità.

 

Infatti essi non sanno, i nostri defunti,

– morti nelle morte stagioni

caduti come foglie d’Ottobre consunte –

che la natura ha continuato il suo corso

e che di fermarsi non ne ha nessuna intenzione.

 

Della morte è questa la dolorosa prerogativa:

chi smette di contar le proprie primavere

non più si gode la presente, ch’è viva

e anche di tutto il resto ne è all’oscuro

in quel mondo scuro cui è guardia un gondoliere.

– Caterina Baronti

 

 

DIO NON GIOCA A DADI

Dio come al solito è servito
gli altri passano e ora uno dovrebbe rilanciare
ma non c’è più la forza di bluffare.

– Giovanni Gerini

 

ORTENSIA CAPITALE

Sentirlo dentro

Il petto

Come all’arrivo

Onde-del-mare

 

Così negato

È l’estremo dolore

Di spuma e memorie

 

Eppure

Tu che portavi

Il nome di “niente”

Eri acqua del mio fiore.

(Aver cura dell’acqua come del fiore).

– Marta Meli 

 

 

 

 

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