Luciano Bianciardi: un ritratto d’autore a cura di Marino Biondi

Lo scrittore Luciano Bianciardi
Lo scrittore Luciano Bianciardi

Luciano Bianciardi. Agra la vita 

A cura del prof. Marino Biondi

 

Luciano Bianciardi (Grosseto, 14 dicembre 1922 – Milano, 14 novembre 1971), o dell’assillo al lavoro intellettuale come professione. Professione e autodistruzione, professione di autodistruzione («Sopportatemi, duro ancora poco», diceva negli ultimi tempi a chi gli stava vicino). L’intellettuale, il letterato di raffinata costituzione umanistica, poi gettato nel mondo a guadagnarsi il pane, in una cacciata masaccesca da un eden, come tale sempre e comunque perduto, posto al remo della sua galera a produrre, per l’industria culturale, pagine su pagine, cartelle su cartelle, nella coazione a ripetere di una condanna. In nessun altro scrittore italiano, e si dica, come pure è stato, scrittore di successo, sentiamo tanta fatica e affanno, nel rispettare i ritmi di un cursus tutt’altro che di onori. Lo scrittore rappresentò sul suo stesso corpo, logorato anzitempo, una specie di martirio della scrittura, anche nella forma coatta delle traduzioni (una ottantina). Fu il provinciale inurbatosi non come sognatore ambizioso, ma come ribelle, con una missione politica, quella di vendicare i minatori morti nello scoppio di grisù della miniera di Ribolla (I minatori della Maremma, 1956, scritto con Carlo Cassola). Sotto questo profilo, di autentica rabbia, Bianciardi resta un unicum nella modernità letteraria, più quieta e addomesticata, o arrabbiata per il gusto teatrale di recitare un ruolo. Lui stesso colto, ma restato quello che era, un giovane inquieto e nervoso, stufo dei riti arcaici della erudizione, il quale comincia a deridere con gusto devastante gli usi e i costumi dell’archeologia e della etruscologia locali («Da dove sono venuti? Chi lo sa? Da dove gli era parso giusto venire»). La Maremma tediosa, prima ancora che amara, dei vecchi cercatori delle origini dei popoli, origini in cui precipitavano spegnendosi le novità e le speranze.

Le sue opere più importanti sono Il lavoro culturale (1957); L’integrazione (1960); La vita agra (1962). Aggiungo la lettura sistematica che le nuove edizioni ci offrono della miriade di racconti e di articoli, un lavoro intenso e costante che lo qualifica come un eminente rappresentante del giornalismo italiano, una delle sue voci più libere e schiette. Resta tutta una ricca produzione di letteratura a sfondo risorgimentale (La battaglia soda, 1964; Daghela avanti un passo! 1969; Garibaldi, 1972), che i suoi contemporanei faticarono a comprendere e che pure ebbe per lui un significato e uno scopo precisi. Il tempo di prima, il pregresso limpido e felice di una bella storia.

 

Bibliografia essenziale

Luciano Bianciardi, Il cattivo profeta. Romanzi, racconti, saggi e diari, a cura di Luciana Bianciardi, prefazione di Matteo Marchesini, Milano, il Saggiatore, 2018.

(Pubblichiamo lo scritto per gentile concessione del prof. Marino Biondi)

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