Un racconto di Atena Forconi
Primo atto
“Merde, merde, triple merde.”
Timothée era fuori di sé. Anni e anni di arrampicate sui tetti parigini e nonostante ciò, si ritrovava sempre in uno stato di dispnea vagamente allarmante.
Eppure aveva corso solo un paio di chilometri, il tragitto necessario se si ruba un cesto intero di pane caldo alla Boulangerie di Place des Vosges e si vuole seminare il vecchio Lucien che agita il mattarello e le cui intenzioni non sembrano pacifiche.
Un giovane ragazzino ed il suo amico fidato dovranno pur cenare la sera della Vigilia di Natale!
E se le tasche sono vuote non resta che mettere in scena il colpo che Timothée e Nicolas avevano ideato anni prima e che tiravano fuori ogniqualvolta erano a corto di franchi.
La loro piccola pièce teatrale era in grado di fregare quasi tutti i malcapitati proprietari di negozi. Il problema era che ormai i loro volti iniziavano ad essere noti nei vari quartieri: da Montmartre a Bellville, da Pigalle a Saint-Germain-des-Prés.
Occorreva trovare delle soluzioni alternative il prima possibile.
Per fortuna a Timothée non mancava certo la creatività. Da grande voleva fare l’attore di teatro e la parlantina e la presenza scenica erano dalla sua parte.
Ma poteva un ragazzino orfano, che di professione faceva il ladro, essere il candidato perfetto per la carriera da attore? Beh, a Parigi nel 1884 tutto era possibile.
In realtà in quel periodo Il sogno di Timothée era soltanto uno: sabotare il maledetto Natale.
Evitare che il popolo parigino potesse gioire dell’atmosfera, dei regali, di Pére Noèl e delle innumerevoli fastidiose luci che addobbavano la città.
Ebbene, le luci erano le protagoniste indiscusse del piano che il giovane aveva minuziosamente architettato per distruggere l’acclamata festa. Occorreva intrufolarsi nei meandri dello spaventoso Palais Abat-Jour, il famigerato palazzo delle luci presso l’Île Saint-Louis. Si trattava di un enorme stabilimento elettrico che racchiudeva al suo interno tutti gli interruttori delle luci esterne ed interne dell’intera città di Parigi.
Essendo un posto estremamente importante per la vita cittadina, il controllo del suo funzionamento era stato affidato al violento e scaltro Colonnello Antoine Fumé che aveva messo in piedi una squadra di guardie e segugi che sorvegliavano la palazzina ventiquattro ore su ventiquattro.
Timothée aveva studiato a lungo la mappa del IV arrondissement e aveva deciso di provare ad entrare attraverso le fognature.
Sarebbe bastato arrivare al quadro generale e bruciare tutti i fili collegati ai vari pulsanti che controllavano tutto e Parigi sarebbe rimasta al buio.
Ogni angolo, ogni lampione, ogni alberello, ogni casa.
La magia del Natale si sarebbe inevitabilmente fulminata.
Secondo atto
Il lettore a questo punto si potrebbe domandare come mai un giovane ragazzino provasse tanta avversità nei confronti del Natale.
Il nostro protagonista aveva avuto una sorte particolare, molto triste.
Aveva perso il padre e la madre quando aveva solo sei anni e adesso che ne aveva undici vedeva il mondo con occhi cinici e sconsolati.
Dei genitori rimembrava quell’amore potentissimo ed incondizionato di cui era stato cosparso nei begli anni che avevano passato insieme nel piccolissimo scantinato dietro L’Operà.
Il padre era un famoso pasticciere di Montmartre, mentre la madre era una poetessa ed insegnante di liceo.
Dopo la morte degli amati genitori, avvenuta a causa di un incendio mentre il piccolo Timothée era a scuola, aveva dovuto cavarsela sempre da solo, scappando dall’orfanotrofio in cui era stato messo e contando sulle sue forze e sul suo ingegno.
Gli adulti che aveva incontrato sulla sua strada erano stati molto duri e assai poco amorevoli nei suoi confronti, a partire dalla direttrice dell’orfanotrofio Madame Bovè, che aveva le sembianze di un orco e che alzava sempre la voce e le mani. Dopo la fuga da quel posto terribile era rimasto molto deluso dalla freddezza con cui era stato trattato dal vicinato della casa in cui aveva abitato con i genitori e aveva iniziato a pensare che per gli adulti non ci fosse speranza di cambiamento, tutti assorti com’erano nel loro piccolo mondo con i paraocchi sempre ben calzati e con l’unico obiettivo di fare soldi.
La vita di strada tutto sommato non gli dispiaceva, aveva fatto amicizia con i gatti randagi di Rue de la Paix e a volte gli sembrava proprio che i felini gli dedicassero sguardi d’intesa. Una volta addirittura gli era sembrato di vedere gli occhi cerulei di sua madre negli occhi di una gattina bianca dall’allure nobile.
Aveva incontrato Nicolas una sera di fine Novembre in una casa in cui era entrato a rubare qualche spicciolo e aveva capito che il bambino di fronte a lui era nella sua stessa disperata situazione.
Da quel momento non si erano più separati e grazie all’abilità di Timothée di saltare da un tetto all’altro avevano trovato una piccola torretta abbandonata da anni in cui avevano creato ciò che più si avvicinava ad una casa.
Vivevano alla giornata, con quel poco che trovavano in giro e che riuscivano a rubare.
Terzo atto
“Aiuto, sono caduto!” Urlò Nicolas.
“Tranquillo, non si vola mai al primo tentativo.”
“Ma io non voglio volare, ho paura!”
Così Timothée e Nicolas stavano scendendo da uno dei tetti più alti della città dove avevano consumato con tanta voracità i buonissimi panini della Boulangerie di Place des Vosges.
“Basta traccheggiare, è arrivato il momento di raggiungere le fogne di lIe Saint-Louis, sono quasi le dieci mon Dieu, abbiamo appena due ore di tempo.”
Una volta arrivati al tombino che i bambini avevano segnato sulla loro preziosa mappa, in pochissimi attimi Timothée aveva scoperchiato tutto e si era calato con disinvoltura verso gli abissi maleodoranti.
Il compagno riusciva a malapena a stargli dietro ma il piano sembrava filare per il verso giusto.
Nessuno si era accorto di loro.
Arrivati nel punto cruciale iniziarono la risalita verso la palazzina, ma improvvisamente sentirono delle strane voci provenienti da una stanza in penombra, da cui si vedevano solo delle candele.
Nicolas si affacciò e vide una scena insolita. Seduti in terra su dei cuscini di velluto rosso scuro c’erano sei persone, alcune più giovani e altre più vecchie, ed in mano tenevano dei fogli ingialliti.
Tutti parlavano a voce molto bassa, l’incontro doveva essere segretissimo e quello sembrava un gruppo di lettura.
I due amici, incuriositi dalla situazione, si nascosero bene per ascoltare le parole.
Una giovane donna dai capelli lunghissimi iniziò a parlare.
“Benvenuti alla nostra seconda serata del circolo di lettura Les subversifs.
Sono contenta che anche stasera siamo riusciti a sfuggire alle odiose guardie di questa palazzina a noi tanto cara perché un tempo era la dimora di Charles Baudelaire. Che la poesia possa sempre trionfare nei nostri cuori!
Oggi ho voluto portare delle poesie segrete, inedite, che sono state salvate nell’incendio in cui ha perso la vita la poetessa Fleur Madeline De Paolì.
Timothée trasalì, quel nome lo conosceva benissimo, era quello di sua madre.
La ragazza continuò: ”Ci tengo particolarmente a queste poesie perché Madame Fleur è stata la mia insegnante per cinque anni e mi ha trasmesso la passione per le storie insolite e piene di fantasia. Mi ha aiutata nei periodi bui, con le sue solide spalle e quel sorriso acceso di bontà.
Non ho mai detto a nessuno che ho ritrovato le sue poesie e che le ho custodite con amore per farvele leggere e per riuscire a farle pubblicarle.”
Timothée fece irruzione nella stanza con le lacrime agli occhi e urlò tutto d’un fiato: “Fleur era mia madre!”
La ragazza dai capelli lunghi sussultò, aveva cercato a lungo il figlio della professoressa dopo l’incidente, ma non era mai riuscita a trovarlo.
La stanza a quel punto era intrisa di commozione generale. Nessuno riusciva più a parlare.
Intanto i nostri avventurieri si erano resi conto che la mezzanotte era passata da ormai cinque lunghi minuti, ma Timothée pensò che non gliene importava più un fico secco di rovinare il Natale a tutta Parigi ora che aveva ritrovato un legame con i suoi genitori.
Quella precisa notte del 25 Dicembre 1884 ebbe di nuovo un sentore di famiglia.
E quando la ragazza dai capelli lunghi lo travolse in un maldestro abbraccio insieme a Nicolas, capì che quel momento racchiudeva in sé un inno di speranza.
A mia mamma Fiora.
Buon Natale.