Recensione Due vite – E. Trevi

Settimo giorno del Calendario dell’Avvento

Recensione a cura di Rosaria Mauriello (corso Il mestiere del Narratore 20\21)

DUE VITE

Due vite è l’ultimo affascinante e struggente romanzo di Emanuele Trevi, pubblicato nel 2021 e vincitore del LXXV Premio Strega, incentrato sul doppio ritratto dei due scrittori, nonché intimi amici dell’autore, Rocco Carbone e Pia Pera, prematuramente scomparsi: l’uno morto nel 2008 a causa di un incidente in moto a Roma, e l’altra nel 2016 per la SLA nella sua casa in campagna a Lucca.

Attraverso la lente multiforme della scrittura, o attraverso i ricordi dello stesso Trevi, vengono evocate le vite di due persone al contempo brillanti e singolari. Una forma di romanzo a metà tra il saggio e il memoir, che conquista fin dalle prime pagine portando il lettore pian piano attraverso le tre vite, compresa quella del Trevi autore e personaggio del racconto, verso un poetico finale. Un cammino che ripercorre ricordi di vita e letteratura, che offre in più momenti la possibilità al narratore di osservare le vicende particolari attraverso un punto di vista universale. Sono numerose, e sempre folgoranti, le riflessioni sui vari aspetti della vita: dall’amicizia al ricordo, dalla scrittura alle disposizioni caratteriali e psichiche dell’individuo. Quando la materia romanzesca riguarda persone reali e vicinissime all’autore, si tratta in alcuni casi di una rievocazione in cui non può essere assente l’autore, che fa proprio appello a se stesso e al confronto-scontro con i personaggi in varie occasioni: “Da pochi mesi ho compiuto l’età esatta in cui Pia si è ammalata, cominciando a perdere progressivamente, inesorabilmente, giorno dopo giorno, l’uso del suo corpo. Gli anni di Rocco, invece, ormai li ho superati abbondantemente. I nostri amici sono anche questo, rappresentazioni delle epoche della vita che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare promontori che ci sembravano lontanissimi, rimanendo sempre più soli, non riuscendo a intuire nulla dello scoglio dove toccherà a noi, una buona volta, andare a sbattere”.

I ritratti che Trevi ci consegna non sono usuali, sono per lo più presenze sfaccettate che emergono qua e là nella complessa trama del racconto: l’uno affetto da bipolarismo, geniale nella scrittura, dovette combattere con il demone dell’infelicità e le sue Furie; l’altra “incantevole”, protettiva, una “signorina inglese” pronta ad affrontare le delusioni nel suo rapporto con gli altri. Sono entrambi legati non solo dall’infelicità dell’esistenza, ma anche dalla letteratura, dalla grande capacità di confrontarsi con se stessi e i propri abissi interiori attraverso una scrittura e ri-scrittura che supera in molti casi la soglia della perfezione. Per ricostruire le loro storie, Trevi usa uno stile alto ma che, nella scelta delle situazioni raccontate e dal pathos che ne deriva, riesce a rendere sempre più intimi e vicini al lettore i suoi due amici.

Scrivere di loro per Trevi significa anche riportarli in vita, perché come rivela ad un certo punto nel suo romanzo: “Noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno”.

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