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Recensione a cura di Rosaria Mauriello (corso Il mestiere del Narratore 20\21)
IL LIBRO DELLA FOLLIA
Il libro della follia (traduzione di Rosaria Lo Russo) è l’ultima raccolta di poesie, pubblicata in Italia a maggio 2021, della poetessa americana Anne Sexton. Questa raccolta, pubblicata per la prima volta in America nel 1972 con il titolo The Book of Folly, rende pienamente idea del cosiddetto “stile confessionale” in poesia, che aveva reso celebre la poetessa alla quale era stato assegnato il Premio Pulitzer nel 1967. Il libro è diviso in tre parti: 1. “Trenta poesie”; 2. Tre racconti, “Ballare la giga”, “Il Balletto del Buffone”, “Cala le ciocche”; e una sezione poetica finale, “Carte di Gesù”. Come sottolinea la traduttrice per questa opera “La Signora Benestante che scrive occasionalmente versi rispettando le forme metriche lascia il posto, definitamente e consapevolmente, al personaggio della Poetessa martire della società benpensante e all’aspirante suicida, in un rovesciamento parodico dei valori patriarcali, accostando l’alto senso del tragico all’ironia e alla caricatura, la metafora lirica al sarcasmo più blasfemo”.
Anne Gray Harvey, ragazza di buona famiglia e ultima di tre sorelle, vive un’infanzia solitaria e non frequenta corsi di studio regolari, si sente «chiusa a chiave nella casa sbagliata». I suoi genitori conducono una vita sociale da benestanti ma entrambi sono gravi alcolisti. Solo la giovane prozia Nana è un punto di riferimento per Anne, nonché figura femminile significativa per la sua crescita, anche se per poco perché colpita da gravi disturbi psichici, e in questo senso un doppio identitario nella follia. Nana viene evocata nella struggente poesia “Anna che era matta” con una serie di immagini simboliche e dirette:
“Parlotta le avemmarie sul nostro cuscino.
Prendimi in collo allampanata dodicenne
e sommergimi di coccole.
Sussurra come un ranuncolo.
Mangiami. Trangugiami come un budino.
Mettimi dentro.
Prendimi.
Prendi.”
I temi di questa raccolta sono molto estremi: dalla disgregazione della figura del padre all’umanizzazione del divino, al rapporto diretto con la malattia mentale. Assieme ai tre componimenti in prosa che costituiscono un unicum nella produzione della Sexton, troviamo infatti poesie che pagina dopo pagina erompono dal testo scritto e generano immagini di follia che si sedimentano nella psiche del lettore. La stessa lingua utilizzata è un’invenzione di Sexton, che riporta il linguaggio ordinario verso la dimensione della follia. Le cose reali si trasformano in una danza macabra di oggetti che sono trasfigurazioni della realtà, secondo quel “Gran Teatro psichedelico” di cui ha parlato la traduttrice Lo Russo. Le vicende personali, molto presenti, sono nascoste sotto strati di finzione scenica, andando all’estremo del procedimento della poesia confessional, che mette in scena un autobiografismo romanzato, anche su base psicanalitica, della quale la Sexton è tra i più autorevoli rappresentati; così nel narrare l’esperienza femminile la Sexton riesce sempre a suscitare una profonda empatia in chi legge, rendendo trasparente il velo della surrealtà e rivelando una sottostante e magmatica realtà.
La Sexton ha reso la poesia l’unica strada possibile di un’esistenza che spesso diveniva disagio, una fuga dalla sua vita borghese rifiutata, uno strumento che l’ha resa mito e immortale come forse ella stessa desiderava, così come confessa in questi versi della poesia posta in apertura alla raccolta, L’uccello ambizione:
“Mi piacerebbe una vita semplice.
Invece tutta notte ripongo
Poesie in una scatolina.
È la scatola dell’immortalità,
Il mio piano rateale,
La mia bara.
Tutta la notte ali cupe.
Sbattono nel mio cuore.
Ognuna un uccello ambizione…”